La pubblicazione apparsa su New England Journal of Medicine e riportata da varie agenzie di stampa, è unicamente relativa alla capacità di ridurre parzialmente il rischio d’infezione somministrando un farmaco a persone sane.
E’ profondamente sbagliato presentare la somministrazione di farmaci antiretrovirali a persone sieronegative, quindi sane (tecnicamente definita PrEP – Profilassi Pre Esposizione -) come una soluzione per evitare l’infezione da HIV. Per quanto riguarda l’AIDS non esiste nessuna “pillola del giorno prima” in grado di prevenire il rischio di infezione.
Anziché intervenire sui comportamenti a rischio rilanciando la prevenzione e le campagne di sensibilizzazione, si sceglie di rinunciare a provare a modificare tali comportamenti e si sceglie di somministrare terapie “pesanti” a persone sane.
Oltretutto forte è il rischio di favorire l’idea in chi assume tali farmaci, di essere comunque protetti e quindi finendo per “sdoganare” e rendere più frequenti i comportamenti a rischio: “tanto ho ingerito il farmaco, mi proteggerà, posso fare quello che voglio, non uso più il preservativo ”. Non è un caso che le stesse agenzie internazionali di lotta all’AIDS hanno espresso le medesime preoccupazioni
E’ bene precisare che non stiamo parlando di un vaccino, che si assume una volta e garantisce per sempre l’immunità, ma di farmaci normalmente utilizzati per la terapia di persone HIV+.
Il solo pensare di utilizzare tali farmaci per persone sieronegative deresponsabilizza gli Stati dal dover realizzare interventi preventivi e i singoli dal dover evitare comportamenti a rischio.
Nessuno sembra inoltre preoccuparsi più di tanto dei possibili effetti collaterali prodotti in un organismo sano da farmaci così impegnativi.
Di fronte a questi annunci non dovrebbero sfuggire gli enormi interessi delle aziende farmaceutiche, che somministrando le terapie alle persone sieronegative vedrebbero, moltiplicarsi esponenzialmente i propri guadagni.
Secoli interi di politiche di sanità pubblica verrebbero cancellati, la medicina preventiva verrebbe azzerata in nome di una totale medicalizzazione, anzi farmacologizzazione, della società.
Senza per altro bloccare l’infezione: infatti non si può certo pensare di mettere in terapia centinaia di milioni, e forse un miliardo, di persone.
Fino a quando non vi sarà un vaccino la prevenzione e l’educazione sanitaria restano gli unici strumenti contro l’HIV. Il resto è un’ottima azione di marketing.
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L’ONU giustamente ha annunciato un calo significativo delle nuove infezioni da HIV tra il 2009 e il ’99. Ma vanno evitati facili entusiasmi; in Italia sono circa 180.000 le persone viventi sieropositive e in assenza di qualunque progetto di prevenzione questo numero è destinato ad aumentare ulteriormente, producendo sempre maggiori sofferenze umane e sempre maggiori costi per la sanità pubblica.