Giovani e anziani tra il dominio dei social e la miseria del quotidiano
Giovani e social
Il grande schermo parla dei social e lancia due messaggi fra loro in forte contrasto, almeno apparentemente: la loro potenziale pericolosità vs la loro potenziale utilità. La sintesi è ovvia, scontata: sono degli strumenti, dipende da come vengono utilizzati. Ma non si tratta solo di questo; le conseguenze nella vita dei giovani dell’uso smodato dei social devono ancora essere indagate in profondità.
Likemeback (Italia/Croazia) regia di Leonardo Guerra Seragnoli) prova a dare un suo contributo in questa direzione. E’ un film interessante più che per la trama o per il finale, ampiamente prevedibile, per l’insistente descrizione della capacità dei social di assorbire tutte le dimensioni della vita di tre ragazze in vacanza in barca nel mare di Croazia. Quanto più le protagoniste appaiono sicure nella loro autorappresentazione sui social, tanto più appaiono incapaci e insicure nella loro vita reale, che si sviluppa solo in funzione di quella virtuale. I social diventano così una prigione dorata, dentro la quale tutto o quasi è permesso, ma dalla quale è pericoloso uscire; i linguaggi del reale e del virtuale sembrano talvolta impossibilitati a incontrarsi. Non vi è solo il rischio della dipendenza, fenomeno già ampiamente documentato anche sul piano scientifico, ma anche quello di sviluppare una forma di disadattamento nella vita sociale. Mentre vari recenti fatti di cronaca ci hanno sensibilizzato sul rischio privacy connesso ai filmati e alle foto postate nel web, non ancora sufficientemente si è ragionato su questi ulteriori aspetti.
Un risultato immediato, anche se di breve durata, il film lo raggiunge: durante la proiezione lo spettatore arriva a sviluppare quasi un’angoscia, una reazione di fastidio fisico alla vista del cellulare; non è esagerato affermare che all’uscita del film era palpabile in tanti l’imbarazzo nel riaccendere il proprio smartphone.
Searching, (USA, di Aneesh Chaganty) potrebbe svolgere il ruolo di avvocato difensore dei social, che nel film, convincente e in grado di coinvolgere lo spettatore, svolgono un ruolo essenziale per risolvere un’intricata indagine poliziesca.
Povertà, miseria e disabilità
Una menzione speciale della giuria è stata attribuita a Ray & Liz, produzione inglese con la regia di Richard Billingham. Il regista prende spunto dalla propria infanzia vissuta nelle case popolari alla periferia di Birminghan, nella cosiddetta Black Country. Birminghan è la città con il maggior tasso di disoccupazione di tutta la Gran Bretagna e il processo di deindustrializzazione ha lasciato ai bordi della società migliaia di famiglie ex operaie, che oggi vivono, quando va bene, attraverso quel che resta dello stato sociale.
Il film è la descrizione del massimo degrado sociale possibile; i due bambini crescono abbandonati a se stessi mentre la madre, obesa, trascorre le ore a giocare a carte davanti ad un solitaire e il padre si avvia verso l’alcoolismo in una strada senza ritorno. Le scene alle quali si assiste sono raccapriccianti: vale per tutti quella del cane che si ciba del vomito appena rigurgitato nel salotto dallo zio steso ubriaco sul divano. Il film si dipana attraverso una serie di flashback che inseguono le dinamiche relazionali tra i due genitori nelle diverse fasi della loro vita. Tutto si svolge nell’assenza di qualunque intervento dei servizi sociali, che faranno la loro comparsa solo alla fine del film per sottrarre ai genitori il figlio minore. Un film che certamente provoca momenti di angoscia ma che, seppure in forma estrema, descrive il degrado nel quale vivono, nelle periferie delle nostre metropoli, non pochi nuclei famigliari.
Mentre assistevo alla proiezione, condizionato dalla mia esperienza medica, sono stato assalito da un lungo e disturbante flash-back: quante volte nelle commissioni mediche per l’invalidità mi sono sentito dire: “Il contributo economico va tagliato, non siamo di fronte ad una patologia, ma ad una condizione sociale degradata, che in questo contesto non ci riguarda”. Non solo è assente qualsiasi attenzione alla storia di quella persona, ma talvolta ti sorge il dubbio che qualcuno, anche in quegli ambulatori, identifichi la miseria e la povertà come una colpa di fronte alla quale c’è solo la responsabilità individuale e non anche una responsabilità sociale. Eppure dovrebbe essere chiaro che non sempre il confine tra malattia psichica e disagio sociale è facilmente individuabile. La definizione di salute dell’OMS è molto precisa: “Salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia e di infermità”. Ma tutto questo per qualche collega fa parte dell’archeologia; l’importante è che lo Stato possa risparmiare su queste “elargizioni”; nel frattempo ai piani alti c’è chi riceve in bustapaga l’incentivo economico per aver realizzato dei risparmi nel proprio servizio.
Dani Iudila, una collaborazione Croazia/Slovenia con la regia di Damianne Nenadic, racconta la storia di un uomo e di una donna con disturbi psichici che, dopo anni di cure, decidono di sottrarsi all’infinito circuito di ospedalizzazione, dimissione, cure farmacologiche, nuova crisi, nuova ospedalizzazione ecc. ecc. cercando di costruire nella società uno spazio protetto ma aperto, nel quale possano convivere con la loro patologia senza troppe costrizioni . Basaglia quarant’anni dopo, ma sempre attuale.
Sibel, dei registi Caglia Zencirci, turca e Guillaume Giovanetti, francese, è invece un film che racconta la storia di una ragazza muta, che vive in un paesino di montagna della Turchia e riesce a esprimersi solo attraverso dei fischi e dei sibili. Quasi una fiaba, non banale, con una approfondita descrizione del contesto sociale e familiare nel quale vive la protagonista; forte nelle scene e nei contenuti emotivi il rapporto con il nuovo arrivato, il giovane fuggiasco. Alla fine a sorpresa si assiste al passaggio dalla problematica individuale legata alla disabilità alla presa di coscienza di una più generale cultura discriminatoria . Un film adatto a tutte le età, senza dubbio istruttivo anche per i più piccoli.