di Tonino Perna pubblicato su il manifesto del 29 maggio
Anche se speravo in un miracolo, non avevo dubbi che la Lega avrebbe vinto
le elezioni comunali a Riace. L’avevo detto ad amici e compagni che in questi
anni si sono prodigati per salvare questa straordinaria esperienza. L’avevo
detto anche a Domenico Lucano, “se fai una lista devi essere sicuro di vincere,
altrimenti è un autogoal bestiale! Forse è meglio se non partecipi a queste
elezioni farsa perché non c’è agibilità democratica: non puoi parlare con la tua
gente da cui ti hanno separato da otto mesi… Puoi fare una grande battaglia in
questo senso e molti ti ascolteranno…”. Purtroppo, Domenico si è convinto che
poteva farcela ed è andata a finire come sappiamo. O meglio: come pochi sanno
veramente.
La Lega ha vinto perché già da questo inverno aveva preparato, tramite il
suo delegato nella Locride, una strategia formidabile. I leghisti
avevano fatto promesse, in caso di vittoria sarebbero arrivati i soldi. Basta
una parola del ministro e la Prefettura paga gli arretrati e la gente potrà
finalmente respirare. Per capire meglio bisogna sapere, infatti, che da quasi
due anni ottanta giovani di Riace e dintorni, decine di esercizi commerciali, i
pochi migranti rimasti sul posto, aspettavano di essere pagati. Per sette anni
si erano abituati essere pagati subito in moneta locale (con l’effige di Nelson
Mandela, Peppino Impastato, Che Guevara, ecc.), poi, quando il Comune riceveva
i soldi dalla Prefettura, la moneta locale veniva convertita in euro. Il
sistema funzionava bene, aveva dato un grande impulso all’economia locale, ed è
crollato quando lo Stato ha bloccato i pagamenti dovuti.
Da quel momento è iniziato un lento e progressivo distacco della gente di Riace
dal suo sindaco. Prima con dei dubbi sul suo operato, poi con una rabbia che
montava man mano che passavano i mesi, che non si vedeva una soluzione, che
Domenico Lucano diventava sempre più famoso e presente in tutti i massa media.
Sentivano che il loro ex-sindaco aveva ricevuto grandi onori dal comune di
Milano, Parigi, e da tanti altri meno noti, mentre loro erano sempre più
disperati. Poi l’esilio ha fatto il resto, tagliando ogni rapporto tra la gran
parte della popolazione riacese e Lucano.
Era inutile spiegare che questa situazione era stata creata ad arte, prima dal ministro Minniti e poi dal suo successore, con la collaborazione di una parte delle istituzioni che hanno perseguitato l’ex sindaco di Riace, al di là di ogni immaginazione, come fosse stato un pericoloso mafioso.
Certo, per essere onesti e avendo vissuto la vicenda dall’interno, debbo
dire che anche Domenico Lucano ha commesso degli errori di ingenuità. Il più
grave quello di pensare che sarebbe tornato presto al suo posto, che non avendo
commesso reati penali avrebbe avuto presto ragione. La conseguenza di questa
ingenua aspettativa è stata di bloccare tutte le proposte fatte da tante
organizzazioni, associazioni, nazionali e europee, disposte a far riaprire le
botteghe artigianali, a riportare i turisti, insomma a rimettere in moto
l’economia locale. Ma, Domenico ha detto a tutti “aspettate che torni, debbo
rivedere tante cose, abbiate ancora pazienza…”. Senza rendersi conto che la
disperazione avrebbe portato tra le braccia della Lega una parte rilevante
della popolazione di Riace.
Ma, non è finita qui. Hanno colpito un simbolo, ma non una prassi e una idea:
ci sono tanti comuni nelle zone interne della Calabria che sono rinati grazie
agli immigrati – da Acquaformosa a Gioiosa Jonica ai paesini pedemontani
dell’Aspromonte- esperienze che andrebbero raccontate perché l’esperienza di
Riace ha fatto scuola e non la fermerà nemmeno il ministro dell’Inferno.