Genova 2001, l’occasione mancata e la nuova sfida dei movimenti (il manifesto 20.07.2024)
G8. Non è casuale riflettere sulla nostra condizione attuale in occasione dell’anniversario delle giornate del G8 di Genova, quando la lotta per un mondo più giusto ha toccato uno dei punti più alti

Vittorio Agnoletto, Antonio Bruno
In un’epoca di crescenti disuguaglianze e individualismo, emergono spiragli per una politica nonviolenta e solidale di sinistra. Molti sono impegnati per cause come i diritti alla salute e al lavoro, la difesa dell’ambiente, la solidarietà con i migranti e servizi pubblici efficienti.

Questi movimenti sfidano lo statu quo e promuovono un cambiamento sociale significativo. Mettono in discussione le politiche economiche che favoriscono le élite a discapito della maggioranza, proponendo alternative concrete. In un contesto in cui il capitalismo non si preoccupa di nascondere la costruzione di un dominio totale e illimitato sulle nostre vite, queste voci rappresentano una speranza per chi crede in un mondo più equo e solidale.

Il capitalismo neoliberista ci propone quotidianamente la guerra come normale prosecuzione della politica, anzi come lo strumento destinato a sostituire la politica nel determinare le regole della convivenza tra gli esseri umani.

Non è casuale riflettere sulla nostra condizione attuale in occasione dell’anniversario delle giornate del G8 di Genova, quando la lotta per un mondo più giusto ha toccato uno dei punti più alti.

Allora moltissimi in Italia e in tutto il mondo si autorganizzarono in un movimento autonomo e i social forum diventarono ambiti di confronto, studio e formazione a cominciare dal Forum di Porto Alegre; a fianco della consapevolezza della catastrofe verso la quale ci stava conducendo quel modello di sviluppo c’era la capacità di proporre alternative concrete e praticabili, globali e locali.

Era un movimento fortemente politico, sviluppatosi al di fuori dei partiti e proiettato in una dimensione globale che faticava, non solo in Italia, a trovare interlocutori nelle forze politiche; in Europa i partiti socialisti si collocavano nell’orizzonte liberista, mentre le forze di sinistra erano ancorate ad una dimensione nazionale e abituate a lavorare su ambiti temporalmente limitati.

Quell’incontro non ci fu, salvo rare eccezioni. Questo mancato incontro, aggiungendosi alla feroce repressione, contribuì all’esaurirsi dell’onda del movimento e all’abbandono da parte di molti delle forme partecipative che avevano animato quegli anni. La distanza dalla politica, la crescita dell’astensionismo è anche frutto di quella sconfitta.

Oggi vi sono alcuni segnali in controtendenza: in Francia, di fronte al rischio di una vittoria dell’estrema destra, migliaia di persone si raccolgono davanti alle sedi dei partiti della sinistra e li obbligano a trovare l’unità necessaria per fermare l’ondata nera.

Siamo di fronte alla consapevolezza che una vittoria del Rassemblement National avrebbe prodotto una sconfitta irreparabile ai progetti e agli obiettivi delle forze sociali, sindacali e associative attraverso le quali si muove la sinistra diffusa, che si è quindi assunta, in prima persona, il compito di bloccare la strada alla destra, utilizzando gli strumenti a propria disposizione, in questo caso i partiti.

In dimensione minore e con caratteristiche differenti, qualcosa di simile è avvenuto anche in Italia: la grande quantità di voti che si sono riversati su Ilaria Salis e Mimmo Lucano nelle liste di Avs, le preferenze agli indipendenti “pacifisti” nelle liste del Pd e il voto ad una lista di scopo contro le guerre come Pace Terra Dignità sono i tentativi di una sinistra diffusa che sceglie di autorappresentare direttamente alcune delle proprie battaglie attraverso le modalità che riesce a trovare in una politica istituzionale percepita, nel suo complesso, come distante dai propri progetti.

La sinistra sociale e i movimenti in Francia hanno agito attraverso una forma di profonda e antica saggezza finalizzata ad evitare un pericolo, potremmo definirlo un istinto di sopravvivenza; in Italia attraverso un (disperato?) tentativo di segnalare la propria esistenza e le proprie caratteristiche costitutive, in attesa che si riesca a ricostruire un soggetto collettivo sul quale avere il coraggio di investire progetti e speranze.

Nel frattempo, la politica partecipativa e inclusiva costruita dal basso dalle numerose realtà della sinistra sociale, attraverso la solidarietà con i migranti, la difesa dei diritti umani, l’impegno a costruire la pace e la lotta ai regimi autoritari rimangono un antidoto alla disillusione e all’apatia che pervadono la sfera pubblica.

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