Finalmente, ad oltre 5 mesi dall’identificazione del primo caso di positività al Coronavirus, è stata realizzata una ricerca epidemiologica per capire qual’è la diffusione del virus nel nostro Paese.
Il Ministero della salute e l’Istat hanno reso pubblici i dati sulla ricerca epidemiologica condotta a livello nazionale attraverso i test sierologici.
Le persone sottoposte al test avrebbero dovuto essere 150.00, ma molti hanno rifiutato per timore di dover restare chiusi a casa settimane ad aspettare il tampone dell’ASL/ATS, nel caso fossero risultati positivi al test sierologico.
I dati si riferiscono quindi a 64.660 persone che sono state testate; per i promotori secondo la proiezione dei risultati ottenuti, in Italia vi sarebbero 1,4 milioni di persone con anticorpi, che sono state infettate, pari al 2,5% della popolazione. Quindi 6 volte di più rispetto ai casi indicati dalla Protezione Civile e dal ministero. Tale percentuale arriva al 7,5% in Lombardia che, su una popolazione di 10 milioni, significa circa 750.000 persone; più o meno la metà dI coloro che sono stati colpiti dal virus a livello nazionale. In varie zone del sud si è attorno al 1%. Si confermano bassi i dati dei bambini.
Il 27% delle persone risultate positive era asintomatico, non sapeva di aver avuto l’infezione.
Ovviamente non si può calcolare (come invece subito è stato fatto dalle fonti istituzionali) la percentuale di letalità del Coronavirus calcolando l’impatto dei morti ufficiali sul totale delle persone infettate, perché tutti sappiamo che anche il numero dei decessi è profondamente sottostimato.
Due prime considerazioni:
1) Con il 27% di asintomatici diventa ancora più importante la strategia di ricerca dei contatti delle persone positive per sottoporle al tampone e inseguire in tal modo il percorso del virus delimitandone lo spazio di movimento;
2) I numeri della Lombardia sono la conseguenza di: *l’assenza di un sistema di sorveglianza sanitaria efficace che ha permesso al virus di circolare per due mesi liberamente prima dell’identificazione del caso di Codogno (oggi infatti sappiamo che il virus in Lombardia era presente almeno da dicembre e che molti medici avevano segnalato l’aumento di polmoniti interstiziali da novembre in poi); *l’assenza di qualunque ricerca dei contatti ed anzi l’esecuzione dei tamponi solo sulle persone con grave sintomatologia, con le conseguenze già citate.